L’esule involontario di Modica: Salvatore Quasimodo
Un viaggio della memoria verso un passato, quello della
giovinezza e dell'infanzia da sogno, nell'isola d'oro e nel paese natio. Modica diventa un poema e le chiese ne costituiscono le strofe. Ogni
vicolo della città è un verso, i cui enjambements sono rappresentati dalle fiuredde (edicole votive) o dalle chiavi di volta dei portali d’ingresso. Tutta Modica è un paradiso perduto, un
luogo di espiazione o di rinascita: la casa natale e gli odori della madre; l'Archivio e quei quadri in cui è ritratto ora altezzoso, ora debole e indifeso; il frac della assegnazione del Nobel, indossato dal poeta mentre dirigeva, come un abile
maestro di orchestra, i suoni armonici dei suoi versi; la stanza della poesia e
la voce del poeta dalla cadenza fascinosa, un canto ineluttabile alla sua isola. Ovunque la città assurge a tavolozza poetica, dove Quasimodo intinge la parola per ritrarne i colori di un paesaggio a volte oscuro. Coscienza del dolore, della
doglia umana che affligge ancora oggi la perduta terra sicula. Eppure il poeta
non abbandonerà mai la Sicilia e la sua Modica, almeno sul piano emotivo,
paradiso perduto di un tempo perduto, e il suo animo resterà diviso tra
un’isola che naviga in avventurose aurore, e il personale travaglio di uomo,
alla ricerca di voci, di parole, da strappare al poema immanente nel libro del
mondo.