Una strana vertigine si avverte nel leggere i romanzi del Commissario Montalbano. Ci si ritrova catapultati in una Sicilia ruvida, dura ma vera, raccontata da uno scrittore nato in Sicilia da famiglia siciliana, e formatosi in un’isola che descrive nella sua naturale sicilianità. E la Sicilia trascende, così, dalla sua millenaria marginalità. Una terra ripercorsa attraverso una scrittura brillante nella sua dialettalità, e popolare nel suo continuo richiamo ai cunti. Razionale e immaginifica, colta nell’ironia di una battuta, di una smorfia, di un sorriso. Vigata/Ragusa è un paese di spicchi barocchi nella trasposizione televisiva di Sirone, sopraffine e misconosciuta; Montelusa/Scicli, appare vuota, deserta ma viva nei suoi paesaggi rupestri, e il suo municipio, per l’occasione, si presta come Commissariato di Vigata e attende impaziente lo sfrecciare della Fiat Tipo di Salvo Montalbano. E ancora Modica, Noto, Cava Ispica, Ispica, Marzamemi, e un altro tassello si aggiunge al Montalbanico mosaico barocco. Un faro, il mare cristallino di Marinella/Donnalucata e la mannara di Sampieri, stabilimento di laterizi distrutto all'inizio del 1900 da un incendio doloso. Una terrazza sulla spiaggia, quella di Punta Secca. Ed eccolo apparire, direbbe Catarella di pirsona pirsonalmente, protagonista assoluto di episodi urbanistici e architettonici oltre che letterari. Montalbano ricatta Camilleri, ricatta tutti. Per svelare il finale delle sue storie bisogna per forza scoprirne i luoghi.

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