Forse non è solo un semplice mito, forse è il destino di ogni creatura: raggiungere la Pentapoli e innamorarsene perdutamente. Aretusa muta sé stessa in sorgiva perché Siracusa è l’Eden ove riposar le proprie stanche membra. Il suo Alfeo e il mondo greco ne sono inesorabilmente attratti, perché Ortigia è l’isola incantata e da lì non si evade. I poeti von Platen, Guy de Maupassant ne furono rapiti nel loro ultimo tramonto, sostandovi nell’attesa di una infinita notte di pietà e di ragione. Il disperato Caravaggio, fuggito dal carcere di Malta, la ritrasse nel secolo delle pesti, delle carestie e della Controriforma nel Seppellimento di Santa Lucia, con la luce livida delle sue catacombe e le alte pareti delle Latomie. La gemma incastonata nella sua piazza a mezza luna è il tempio di Atena, dea dell’olivo e dell’olio, del nutrimento e della luce, le cui mura greche e gli altari cristiani fondono l’equilibrio dorico delle sue colonne con il capriccio barocco dei suoi decori. La Neapolis e il suo teatro, inciso nella viva roccia affiorante, ne celebrano, invece, la potenza e lo splendore; le latomie e l’orecchio di Dionisio ne rievocano la crudeltà e l’orrore delle sue carceri. Il Castello Maniace dell’imperatore Stupor mundi Federico II che, temendone la forza, tentò di corromperla donandole il suo Palatium. Ed ecco che tra il teorema di Archimede e la poesia di Pindaro, tra il rigore dei suoi palazzi gotici e la grazia del suo barocco, regna Santa Lucia, la signora della luce e della vista. Ma Siracusa brilla comunque di luce propria.

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