Mi chiamo Sabrina Tavolacci, sono una guida turistica e amo la mia terra. Una terra celeste, che parla di gelsomini d’Arabia, letizie di luna e spiagge simili a guance dorate. Sono diventata guida quasi per gioco, occupandomi della gestione di beni museali della mia città. Avevo 26 anni, una laurea in lingue e letterature straniere in tasca e una gran voglia di evadere dalla Sicilia. Poi ho cominciato ad osservare l’isola con altri occhi, quelli del mio cuore. E mi sono perdutamente innamorata. Ho rimosso i suoi sfregi e l’ho riscoperta celeste nel suo cielo e mare africano, bionda come la pietra delle sue chiese barocche, mitica nei venerandi gesti di fatica dei suoi artigiani, silenziosa dietro le pudiche finestre fiorite di grate e mascheroni e chiassosa nelle sue piazze barocche dove la gente, come nel teatro dei pupi, porta in scena un’altra puntata della nostra inesauribile storia.

Il primo consiglio a chi sbarca in Sicilia è di spiare ogni parlata o mimica indigena, per scoprire la storia dell'isola e delle sue dominazioni. E poi, forse, basterebbe che il visitatore si armasse di pazienza, di umiltà; che venisse qui senza fretta, che accettasse per un mese di mangiare e dormire alla ventura, di sudare molto; che si contentasse di non capirci subito per poterci capire più tardi, di non amarci oggi per poterci amare domani. Salite a bordo di questa arca triangolare di sasso che galleggia sulle onde da millenni. È scampata a tante tempeste. E mettetevi in tasca un vocabolario greco: potreste incontrare, emersa dalle acque e vogliosa di scambiare due chiacchiere, Afrodite Anadiomene (Gesualdo Bufalino “La luce e il lutto”).                                                                                    A me è capitato. E a voi?